Il Grillo e la sua incredibile storia

Pubblicato il 19 luglio 2025 alle ore 16:57

La storia di un vitigno “impuro

Il Grillo (probabilmente da “arillum” ossia senza semi) è un vitigno a bacca bianca tipico della Sicilia occidentale. Diffuso soprattutto nel trapanese, è la varietà eletta per la produzione di vini longevi e liquorosi, il più utilizzato nella produzione della DOC Marsala. Nel corso degli anni, tuttavia, la sua coltivazione si è estesa ampiamente in altre zone della Sicilia fino a raggiungere la parte orientale più estrema dell’Isola.

Non si tratta di una specie pura, ma di un incrocio tra due vitigni autoctoni, il Catarratto e lo Zibibbo (o, altrimenti detto, Moscato d’Alessandria), nato ufficialmente nel 1874, per mano del barone Antonio Mendola[1]. Agronomo e ampelografo, il barone aveva incrociato i due vitigni genitori con l’intento di conferire più struttura e aromaticità al vino anche se l’intenzione diffusa del tempo era quella di creare uve capaci più resistenti sia ai parassiti (come la fillossera) che a condizioni climatiche avverse.

La paternità dell’incrocio è stata scoperta solo da poco tempo per merito di un enologo siciliano (Giacomo Ansaldi). Grazie alle sue ricerche sul profilo genetico dell’uva confrontato con un clone presente in Francia (giunto lì dalla Sicilia per opera dello stesso barone Mendola o forse da Cerletti[2], enologo suo amico) è riuscito a risalire a testi conservati nella biblioteca di Favara da cui si evince, oltre ad un fitto scambio epistolare con Charles Darwin, proprio la ricercata paternità. È stato il barone Mendola, quindi, che con la sua passione per la botanica, l’ampelografia e gli studi sulla biologia ispirati dall’amico Darwin, a creare e tramandare l’uva “grillo” che oggi tanto apprezziamo per la moltitudine di vini che regala.

Del vitigno così ottenuto, sebbene già impiantato all’epoca del Barone Mendola e largamente diffuso nel trapanese, non si ebbe traccia nella bibliografia fino ai primi anni ’20/’30 del Novecento. Solo a partire da quest’ultimo periodo comincia ad essere menzionato come tale, ossia come “grillo”, sebbene della sua origine botanica non vi fosse traccia.

Nelle intenzioni del Barone, il Grillo, quindi, doveva mantenere la vigoria del Catarratto e l’aromaticità dello Zibibbo. La vigoria gli consente di resistere al caldo e alla siccità, raggiungendo un’elevata concentrazione zuccherina pur mantenendo un ph relativamente basso, combinazione richiesta dai vini longevi di grande qualità come i marsala. Queste caratteristiche ne hanno fatto un vino ideale per diverse vinificazioni e ciò per l’elevato grado zuccherino naturalmente presente senza appassimento.

Se l’inizio della sua storia lo vide impiegato nella produzione del Marsala, in tempi più recenti la vinificazione destinata alla produzione di vini bianchi secchi e fermi, insieme alla più moderna spumantizzazione, alla Riserva, al vino passito dolce o alla vendemmia tardiva. Un vitigno capace di cambiare la sua espressione in base alla zona in cui è coltivato, ma che rimane saldo su alcuni caratteri imprescindibili, pilastri varietali che gli appartengono per genetica.

Caratteristiche organolettiche generali

Dal Grillo nasce un vino in grado di racchiudere in sé i sapori della Sicilia. Il carattere del grillo a prescindere dalla zona di produzione è l’acidità, che persiste anche nei casi in cui l’uva viene sottoposta a maturazioni spinte. Poi il corredo aromatico, che abbonda di terpeni, tioli e norisoprenoidi. Se i primi gli sono stati trasmessi

in eredità dal profumatissimo Zibibbo (tipici sono gli aromi di albicocca, agrumi e fiori gialli), i secondi (tioli) costituiscono il substrato per la liberazione di aromi tipicamente erbacei, agrumati, quali il passion fruit, il pompelmo, il bosso, gli stessi che si ritrovano abbondantemente all’interno del Sauvignon Blanc. Infine, i norisoprenoidi, conosciuti anche come aromi degli ambienti luminosi e assolati dove la pianta è sottoposta a potente radiazione solare e ad elevata attività fotosintetica, che tanto ricordano le note morbide della frutta matura e quelle delle spezie nonché note sulfuree che comunque tendono a svilupparsi durante il processo di vinificazione.  In generale, quindi, il Grillo presenta le seguenti note organolettiche:

  • al naso è estremamente generoso: macchia mediterranea e tutti i fiori di Sicilia si ritrovano nel calice.
  • al palato è d’impatto, robusto, ma di fondo morbido. La sua è una freschezza agrumata e la sapidità del suo sorso riporta subito alla mente il mare.

Sono due i biotipi principali del grillo: uno dà vini più freschi con note agrumate e vegetali, l’altro dà vini più strutturati con potenza alcolica più spinta.

Sono classificati come biotipo A e biotipo B; la grande differenza la fa il grappolo, semi-compatto in uno, spargolo (3)  nell’altro biotipo.  Poi sicuramente la concentrazione zuccherina, più elevata nel B, e l’acidità, alta in entrambi ma maggiore nell’A. A seconda della scelta stilistica della cantina e in base alla colorazione dell’uva, si decide quando vendemmiare e se puntare più sulla parte dei tioli o su quella dei terpeni. Ne deriva un profilo di bacca bianca esuberante, solare nella sua espressione del frutto al naso e marcata nella freschezza al sorso. All’interno di questi tratti imprescindibili, poi, si sviluppa un mondo di sfumature che variano in base alla parte di Sicilia in cui il Grillo è radicato. Perché la Sicilia è realmente un piccolo mondo a sé stante, un regno dominato più dalla natura che dall’uomo, quella natura che si prende i suoi spazi con un tratto di legittima prepotenza, irrompendo da ogni parte con un’intensità che ha davvero pochi eguali nel nostro Paese.

Differenze negli areali di produzione: le diverse declinazioni del Grillo

Un “giro del Grillo” attorno alla Sicilia dimostra come la variabilità ambientale sia un dato reale e tangibile. Altitudine, profilo pedologico, quantità di piogge, ore di sole, brezze marine e correnti che serpeggiano fra i rilievi: ogni dettaglio della Sicilia, fatta di terra e di mare, partecipa alla definizione di Grillo più aromatici oppure più lineari, più grassi o più snelli, più maturi o più freschi. La Sicilia, quindi, con il suo essere un continente nel continente, genera vini che a partire dallo stesso vitigno danno luogo a declinazioni diverse a cui si aggiunge il lavoro del vignaiolo che, in base alla scelta stilistica, vinifica prodotti estremamente variegati ed interessanti. Ad esempio, nel marsalese costiero, zona di elezione del grillo, si riscontra una temperatura media molto calda. È pertanto normale che il grillo di questa zona sia diverso da quello prodotto in una zona di montagna.

In generale le principali aree di produzione del grillo si possono distinguere in:

  • trapanese, zona di elezione, quasi a livello del mare, a circa 140-200 m s.l.m.;
  • palermitano, con un’altitudine un po’ più alta, che sale infatti a 300-450 m s.l.m.;
  • agrigentino, dove saliamo ancora fino ad arrivare agli 800 m s.l.m..

Invero anche le zone orientali e centro-orientali della Sicilia hanno cominciato a produrre Grillo dando luogo a risultati di tutto rispetto. Nella provincia di Marsala, ad esempio, dove le vigne sono poste su suoli rossi, molto ricchi di ferro, soggetti a un’influenza più tirrenica, la sensazione calda dominante, il fil rouge, sarà la frutta tropicale. Da Trapani dirigendosi verso l’agrigentino la confluenza più mediterranea, in termini di temperature ed escursioni termiche, concederà vini freschi e di buona acidità.

In altitudine, come a Erice, il Grillo avrà caratteristiche più floreali.

Il Grillo, un amore recente

Se, come visto, il Grillo è stato un vitigno ampiamente utilizzato nella produzione del Marsala già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, la sua diffusione come vino trasversale, adatto ad ogni occasione di consumo, nasce a partire dagli anni ’90 del secolo scorso. Le vinificazioni giovani, fresche, ferme, frizzanti, tardive, riserva, etc. infatti, si sviluppano solo a partire da quest’ultimo periodo dando vita a vini tra i più svariati e capaci di accontentare palati meno esperti così come gusti esigenti. Oggi il Grillo è uno dei vitigni più coltivati in Sicilia e dà il suo nome a un vino a Denominazione di Origine Controllata prodotto in tutta la regione. Le uve Grillo possono infatti essere coltivate in tutti i territori della DOC Sicilia e devono essere presenti per almeno l'85% nei vini che riportano questa tipologia varietale in etichetta.  Il disciplinare di produzione consente, quindi, la commercializzazione di vino a denominazione “Grillo” che può contenere nella percentuale massima del 15% altre tipologie di uve. Non rispettandosi queste percentuali il vino diventa a “base” grillo e non si può denominare grillo “in purezza”. 


(1) Antonio Mendola (Nobile siciliano) nacque a Favara nel 1828 e fu un letterato, scrittore, filantropo, ampelografo e politico. Collezionista di specie botaniche giunse alla ibridazione dell’uva grillo con in mente la creazione di un vitigno resistente ed aromatico. Dal materiale presente nella biblioteca di Favara si apprende della sua corrispondenza con Darwin. Il contenuto della lettera non ci è dato sapere per intero, ma sommariamente il barone, dopo diversi esperimenti, si mostrava in disaccordo su alcuni punti, dicendo sostanzialmente che il corno di un vitello sepolto in un campo mette le radici o ancora che i capelli di un mulo incubati nell'acqua prendono vita. Darwin gli rispose con un'altra lettera, datata l'8 gennaio 1880, ringraziandolo per il suo contributo e promettendo che attraverso più attente osservazioni, anche grazie al materiale che gli avrebbe inviato lo stesso Mendola, poteva prendere in degna considerazione le sue tesi. Degli sviluppi di questa corrispondenza non si conosce più nulla.

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 (2) Giovan Battista Cerletti è stato un ingegnere ed enologo promotore della prima stazione enologica sperimentale italiana e fondatore della prima scuola di viticoltura e di enologia (Scuola enologica di Conegliano).

(3) Il termine “spargolo” indica il grappolo con acini radi


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